Pazienti e Famiglie

Benvenuti nella sezione dedicata ai pazienti.

Pensiamo sia importante avere informazioni chiare e affidabili quando si vive con un emoglobinopatia. Per questo, abbiamo raccolto le domande più frequenti che i pazienti ci pongono, fornendo risposte semplici e dirette, pensate per chiarire alcuni dubbi, scoprire nuove terapie o conoscere le complicanze legate alla malattia.

La sezione sarà in futuro arricchita con nuove domande e risposte

Le emoglobinopatie sono disturbi genetici ereditari (cioè trasmessi dai genitori ai figli attraverso i geni) che colpiscono i globuli rossi. I globuli rossi sani hanno una forma a ciambella e trasportano ossigeno in tutte le cellule del corpo. La proteina che consente ai globuli rossi di trasportare l’ossigeno si chiama emoglobina. Le persone con una emoglobinopatia possono avere livelli ridotti di emoglobina o un’emoglobina che non funziona bene. Pertanto, i globuli rossi non funzionano correttamente ed hanno una durata di vita ridotta; di conseguenza, non viene consegnato abbastanza ossigeno alle cellule del corpo, causando sensazioni di stanchezza, debolezza o mancanza di respiro, una condizione nota come anemia. Le persone con emoglobinopatia possono avere un'anemia di grado variabile, da lieve a grave. L'anemia grave può danneggiare gli organi. L’anemia falciforme (drepanocitosi) e la talassemia sono due tipi diversi di emoglobinopatie.
L’anemia falciforme è un disturbo genetico causato dalla formazione di un’emoglobina anomala e da globuli rossi con una forma a falce o “a mezzaluna”, invece della consueta forma a ciambella, definiti cellule falciformi. Queste cellule possono rimanere intrappolate nei vasi sanguigni e impedire all'ossigeno di raggiungere altre parti del corpo. L’anemia falciforme può causare dolore, infezioni, ictus, anemia, problemi ad alcuni organi, inclusi la milza, i polmoni e i reni.
La talassemia è un disturbo ereditario del sangue causato dalla produzione insufficiente di emoglobina. Esistono diversi “tipi” di talassemia, in riferimento a due aspetti: la specifica parte dell’emoglobina che è colpita (solitamente “alfa” o “beta”) o la gravità della talassemia, indicata storicamente con termini come portatore (trait), intermedia, o major e, attualmente, più spesso con i termini ‘non-trasfusione dipendente’ e ‘trasfusione dipendente’. L'emoglobina, che trasporta ossigeno a tutte le cellule del corpo, è composta da due catene diverse, chiamate alfa e beta. Quando la talassemia è definita "alfa" o "beta", ci si riferisce alla catena dell'emoglobina che non viene prodotta correttamente. Pertanto, una bassa produzione della catena alfa è definita alfa talassemia, laddove una bassa produzione di catene beta, beta talassemia. I termini trait (portatore), minor, intermedia o major descrivono la gravità della malattia. Una persona con il tratto talassemico potrebbe non avere sintomi o potrebbe presentare solo una lieve anemia, mentre una persona con talassemia major potrebbe avere sintomi più gravi e potrebbe necessitare di trasfusioni di sangue regolari.
Allo stesso modo in cui i tratti per il colore dei capelli e la struttura del corpo sono trasmessi dai genitori ai figli, anche i tratti delle emoglobinopatie sono ereditari e quindi presenti nelle famiglie. Questi disturbi sono causati da cambiamenti nei geni che producono l’emoglobina. I geni sono istruzioni che controllano una funzione nel corpo o un tratto fisico, come il colore degli occhi. Una persona con l’anemia falciforme eredita due “tratti falciformi”, uno da ciascun genitore. Il tipo di talassemia che una persona ha dipende da quanti e quali tratti per la talassemia ha ereditato dai suoi genitori. Ad esempio, se una persona riceve un tratto di beta talassemia dal padre e un altro tratto di beta talassemia dalla madre, svilupperà la beta talassemia trasfusione o non trasfusione dipendente. Se una persona riceve un tratto di alfa talassemia dalla madre e una catena alfa normale dal padre, avrà il tratto di alfa talassemia (chiamato anche alfa talassemia minor). Avere un tratto di talassemia significa che potresti non avere sintomi, ma potresti trasmettere quel tratto ai tuoi figli, aumentando il loro rischio di avere la talassemia.
Un portatore è una persona che eredita una copia normale di un gene e una copia modificata dello stesso gene. I portatori dell’anemia falciforme sono definiti come portatori di "tratto drepanocitico". I portatori di talassemia sono definiti come portatori di "tratto beta talassemico o alfa talassemico", a seconda della catena globinica mutata.
Le emoglobinopatie sono più comuni in persone con determinate ascendenze familiari. L’anemia falciforme colpisce più spesso le persone di discendenza africana, mediterranea (soprattutto greca e italiana), turca, araba, iraniana meridionale e indiana asiatica. La talassemia colpisce più spesso le persone di discendenza mediterranea (soprattutto greca o italiana), mediorientale, africana o asiatica.
La diagnosi di emoglobinopatie si basa su vari tipi di analisi:
• Valutazione dell’emocromo completo. L’emocromo misura la quantità di emoglobina e i diversi tipi di cellule del sangue, come i globuli rossi, in un campione di sangue. Le persone affette da talassemie hanno meno emoglobina del normale nel loro sangue. Le persone con tratto alfa o beta talassemico possono avere globuli rossi più piccoli del normale. È importante ricordare che col solo emocromo non è possibile stabilire con certezza se una persona è portatore di un’emoglobinopatia, e il conseguente rischio di trasmettere la malattia. Può essere richiesta anche la valutazione del bilancio marziale, ovvero la quantità di ferro nel sangue per scoprire se l’anemia è dovuta a carenza di ferro.
• Elettroforesi dell’emoglobina. Questo test misura i tipi di emoglobina in un campione di sangue. Le persone affette da talassemie hanno problemi con le catene alfa o beta globiniche dell’emoglobina.
• Test genetico. Poiché le talassemie vengono trasmesse dai genitori ai figli attraverso i geni, gli studi genetici familiari possono aiutare a diagnosticare la malattia. Questi studi prevedono la raccolta della storia medica familiare e l’esecuzione di esami del sangue sui membri della famiglia. I test mostreranno se i membri della famiglia hanno forme di geni dell'emoglobina mancanti o alterati. Il test genetico prevede l’esame del DNA, il database chimico che contiene le istruzioni per le funzioni del nostro corpo. Il test genetico può rivelare cambiamenti (mutazioni) nei tuoi geni che potrebbero causare malattie. Prima di sottoporsi ad un test genetico, è importante parlare con il tuo medico, un genetista medico o un esperto di patologia per comprendere meglio i risultati del test.
Il test genetico può fornire informazioni importanti non solo per la diagnosi, ma anche per la gestione delle malattie. Il numero di possibili anomalie genetiche associato alle emoglobinopatie è piuttosto elevato. Sono state descritte oltre 1000 diverse mutazioni genetiche che possono avere effetti variabili sulle manifestazioni cliniche. Queste mutazioni possono infatti ridurre la quantità o alterare la struttura dell’emoglobina in modo variabile, da lieve a grave. Conoscere la tipologia di difetto genetico che hai potrebbe aiutare il tuo medico curante a predire in che modo si presenterà ed evolverà la tua malattia.
Essere un portatore significa aver ereditato una sola copia modificata del gene e, poiché per essere affetti da emoglobinopatia sono necessarie due copie mutate, generalmente un portatore non presenta sintomi. Il portatore di beta talassemia può condurre una vita normale, anche se potrebbe avere lievi alterazioni dell’emocromo e una riduzione lieve dei livelli di emoglobina, soprattutto se donna, oltre a un aumento del rischio di calcoli alla colecisti. È utile sapere di essere un portatore per poter pianificare al meglio le proprie scelte riproduttive insieme al partner. Anche il portatore di trait drepanocitico ha un’aspettativa e una qualità di vita normale. Non presenta solitamente alterazioni dell’emocromo tuttavia deve sapere che in particolari condizioni potrebbero manifestarsi le complicanze tipiche della malattia falcemica. Pertanto è importante che sappia che deve evitare condizioni di disidratazione (ad esempio prolungata esposizione al calore, colpo di calore, febbre) o bassa tensione di ossigeno (ad esempio l’alta quota o forti stress fisici come certe tipologie di attività sportive e gli interventi chirurgici maggiori) che possono favorire l’insorgenza di sintomi falcemici. È importante anche informare il medico curante e gli eventuali specialisti dello stato di portatore di trait drepanocitico.
Lo screening dei portatori per le emoglobinopatie viene fatto con un test del sangue. Ci sono due opzioni a seconda di come viene analizzato come il campione di sangue:
- Elettroforesi dell’emoglobina. Questo è un test che guarda i diversi tipi di emoglobina nel tuo sangue.
- Test genetico molecolare. Questo è un test che mira ad analizzare i geni nel tuo DNA. Di solito, un partner viene testato per primo. Se i risultati mostrano che il primo partner è un portatore, viene testato l'altro partner.
Essendo una portatrice, non dovresti riscontrare particolari problemi durante la gravidanza o per il nascituro, poiché per manifestare l'emoglobinopatia sono necessarie due copie mutate del gene. Tuttavia, potresti presentare lievi alterazioni dell’emocromo, come una riduzione lieve dei livelli di emoglobina con una probabilità leggermente superiore rispetto alle donne gravide non portatrici. È consigliabile monitorare il tuo emocromo e farti seguire da uno specialista per gestire al meglio la gravidanza. Se sei una portatrice di trait drepanocitico è importante assumere l’acido folico per tutta la gravidanza, controllare frequentemente la pressione arteriosa, riferire al tuo ginecologo se hai disturbi urinari. La beta-talassemia e l'alfa-talassemia sono ereditate in modo autosomico recessivo. Ciò significa che sono necessarie due copie mutate (una da ciascun genitore) dei geni che producono le catene alfa e beta dell’emoglobina affinché la malattia si manifesti. Se tu e il tuo partner siete entrambi eterozigoti (ovvero portatori di una sola copia modificata), avrete, per ogni gravidanza, il 25% di probabilità di generare un figlio affetto, il 50% di probabilità di generare un figlio portatore (tipicamente asintomatico) e il 25% di probabilità di generare un figlio non affetto e non portatore. Data la frequenza dei portatori in Italia, lo screening del portatore viene offerto a tutte le donne in gravidanza ed è basato sulla valutazione dell’emocromo e dell’elettroforesi dell’emoglobina. Se una donna risulta positiva allo screening, si procederà con la valutazione dello stato di portatore per il partner. In caso di familiarità nota, è possibile effettuare un test del portatore ai familiari a rischio mediante test ematologici e/o genetici molecolari (se il difetto genetico è noto). Una volta identificato il difetto genetico in un membro della famiglia affetto, è possibile eseguire test genetici prenatali e preimpianto. È infatti possibile eseguire diagnosi prenatale invasiva (prelievi villi coriali tra la 12° e la 14° settimana di gestazione oppure prelievo di liquido amniotico tra la 16° e la 18° settimana). È inoltre possibile, in seguito ad un percorso di fertilizzazione in vitro, analizzare se gli embrioni possano presentare entrambe le mutazioni, prima del trasferimento in utero. In caso di trapianto di midollo che ha determinato la cessazione della terapia trasfusionale, il rischio di trasmettere la malattia resta invariato, poiché il trapianto di midollo osseo non modifica le cellule gametiche (ovociti e spermatozoi), che sono responsabili della trasmissione genetica. Queste cellule contengono i geni che vengono trasmessi ai figli. Di conseguenza, se sei affetto da beta-talassemia, continuerai ad avere la stessa probabilità di trasmettere una delle due copie mutate del gene ai tuoi figli, ovvero nel 100% dei casi.
I test genetici possono rilevare se tu o il tuo partner siete portatori di una forma mutata di uno o più geni globinici. Conoscere queste informazioni può aiutarti a pianificare la gravidanza. Parla con un consulente genetico o esperto di patologia per ottenere indicazioni sulla pianificazione familiare, soprattutto se sospetti che tu o il tuo partner possiate essere portatori di mutazioni genetiche per la talassemia e per l’anemia falciforme. La beta-talassemia e l'alfa-talassemia sono ereditate in modo autosomico recessivo. Ciò significa che sono necessarie due copie mutate (una da ciascun genitore) dei geni che producono le catene alfa e beta dell’emoglobina affinché la malattia si manifesti. Se tu e il tuo partner siete entrambi eterozigoti (ovvero portatori di una sola copia modificata), avrete, in linea di massima, il 25% di probabilità di generare un figlio affetto, il 50% di probabilità di generare un figlio portatore (tipicamente asintomatico) e il 25% di probabilità di generare un figlio non affetto e non portatore. Data la frequenza dei portatori in Italia, lo screening del portatore viene offerto a tutte le donne in gravidanza ed è basato sulla valutazione dell’emocromo e dell’elettroforesi dell’emoglobina. Se una donna risulta positiva allo screening, si procederà con la valutazione dello stato di portatore per il partner. In caso di familiarità nota, è possibile effettuare un test del portatore ai familiari a rischio mediante test ematologici e/o genetici molecolari (se le varianti causative familiari sono note). Una volta identificato il difetto genetico in un membro della famiglia affetto, è possibile eseguire test genetici prenatali e preimpianto. È infatti possibile eseguire diagnosi prenatale invasiva (prelievi villi coriali tra la 12° e la 14° settimana di gestazione oppure prelievo di liquido amniotico tra la 16° e la 18° settimana). È inoltre possibile, in seguito ad un percorso di fertilizzazione in vitro, analizzare se gli embrioni possano presentare entrambe le mutazioni, prima del trasferimento in utero.
Il rischio di trasmettere la malattia resta invariato, poiché il trapianto di midollo osseo non modifica le cellule gametiche (ovociti e spermatozoi), che sono responsabili della trasmissione genetica. Queste cellule contengono i geni che vengono trasmessi ai figli. Di conseguenza, se sei affetto da beta-talassemia, continuerai ad avere la stessa probabilità di trasmettere una delle due copie mutate del gene ai tuoi figli, ovvero nel 100% dei casi.

Gli organi principalmente coinvolti nella talassemia includono:
• Midollo osseo: questo è l'organo responsabile della produzione delle cellule del sangue. Nei pazienti con talassemia, il midollo osseo lavora intensamente per produrre più globuli rossi a causa dell'emoglobina difettosa, così da portare a un'espansione del midollo e a deformità ossee.
• Fegato e milza: la splenomegalia (ingrossamento della milza) è comune nella talassemia, poiché la milza cerca di eliminare i globuli rossi difettosi. Questo può causare una diminuzione ulteriore dei globuli rossi e peggiorare l'anemia. Il fegato può ingrossarsi a causa del sovraccarico di ferro.
• Cuore: nei pazienti talassemici, il cuore può subire danni dovuti al sovraccarico di ferro accumulato con le trasfusioni ed all’anemia, e si può avere cardiomiopatia (malattia del muscolo cardiaco), insufficienza cardiaca o aritmie.
• Endocrine (sistema endocrino): le ghiandole endocrine, come l'ipofisi, la tiroide, la paratiroide e il pancreas, possono essere danneggiate dal sovraccarico di ferro. Questo può portare a problemi ormonali come diabete, ipotiroidismo, ipoparatiroidismo, ipocorticosurrenalismo e insufficienza gonadica, che può influenzare la crescita e lo sviluppo sessuale.
• Ossa: a causa della produzione anomala di globuli rossi, alle complicanze endocrine, all’accumulo di ferro e alla terapia ferrochelante, le ossa possono diventare fragili, portando a osteoporosi e a un aumento del rischio di fratture.
• Rene: anche i reni possono essere coinvolti nella talassemia, specialmente nelle forme gravi. L'anemia cronica, il sovraccarico di ferro ed i ferrochelanti possono compromettere la funzione renale.
• Pancreas: il sovraccarico di ferro che si accumula nei tessuti del pancreas può danneggiare le cellule responsabili della produzione di insulina, portando allo sviluppo del diabete mellito. Questa condizione è relativamente comune nei pazienti con talassemia major che ricevono frequenti trasfusioni di sangue. Il controllo del ferro con terapie chelanti è essenziale per prevenire questo danno. Il coinvolgimento degli organi nella talassemia è principalmente dovuto a due fattori:
• Anemia cronica: la carenza di globuli rossi sani provoca una continua stimolazione del midollo osseo, che si espande per cercare di compensare, e della milza, che deve filtrare i globuli rossi difettosi. L’anemia comporta inoltre ad una difettosa ossigenazione dei tessuti.
• Sovraccarico di ferro: le frequenti trasfusioni di sangue nei pazienti con talassemia trasfusione dipendente e l’aumentato assorbimento intestinale nei pazienti non trasfusione dipendenti portano a un accumulo di ferro nei tessuti, che, se non trattato con la terapia chelante, danneggia organi vitali come il cuore, il fegato e le ghiandole endocrine.
Le manifestazioni cliniche della talassemia variano a seconda del tipo e della gravità della malattia. Talassemia major (o morbo di Cooley) o talassemia trasfusione dipendente: Questa è la forma più grave di talassemia, ed è associata a sintomi significativi che si manifestano già nei primi anni di vita. I più frequenti sono:
• Anemia grave: la ridotta produzione di emoglobina porta a un'anemia cronica, che si manifesta con pallore, stanchezza, irritabilità e difficoltà di alimentazione nei neonati.
• Ittero: il colore giallastro della pelle e degli occhi è dovuto alla distruzione aumentata dei globuli rossi.
• Splenomegalia e epatomegalia: la milza e il fegato si ingrossano a causa dell'aumento del lavoro necessario per eliminare i globuli rossi difettosi e perché possono diventare una sede di produzione di globuli rossi nel tentativo di compensare l’anemia.
• Ritardo della crescita: a causa dell'anemia cronica e della malnutrizione associata, al malfunzionamento delle ghiandole endocrine e a una scarsa conoscenza dei farmaci ferrochelanti, i bambini talassemici tendevano ad avere un ritardo della crescita e un ritardo puberale, molto più rari oggi per l’ottimizzazione della terapia trasfusionale e ferrochelante.
• Sovraccarico di ferro: i pazienti con talassemia major richiedono trasfusioni regolari di sangue, che possono causare un eccesso di ferro nei tessuti, con danni agli organi vitali come cuore, fegato, pancreas e ghiandole endocrine. Tali complicanze possono essere evitate con una terapia ferrochelante regolare. Talassemia intermedia o non trasfusione dipendente:
• Anemia moderata: i sintomi dell'anemia possono essere meno severi, ma comunque presenti, con pallore, affaticamento e mancanza di respiro durante gli sforzi.
• Ittero e splenomegalia
• Ritardo della crescita
• Ipertensione polmonare
• Rischio trombotico: i globuli rossi anomali si comportano come piastrine attivate, soprattutto nei pazienti senza milza, e questo aumenta il rischio di trombosi, soprattutto venose
• Masse di eritropoiesi inefficace: masse di progenitori di globuli rossi si possono formane ovunque nel corpo, e soprattutto intorno alla colonna vertebrale, con possibilità di fenomeni di compressione anche gravi
• Sovraccarico di ferro: nella talassemia non trasfusione dipendente l’accumulo di ferro dipende prevalentemente da un aumentato assorbimento di ferro nell’intestino e per questo motivo può interessare anche i pazienti che non effettuano trasfusioni.
• Ulcere Talassemia minor (portatore sano): I portatori di talassemia (eterozigoti) non presentano in genere nessun tipo di problematica e possono vivere una vita normale.
Le complicanze ossee più comuni nella talassemia sono:
• Deformità ossee: l'espansione del midollo osseo causa deformità come fronte prominente e ossa lunghe sottili (complicanze ad oggi meno riscontrate nelle popolazioni con cure attente ed immediate).
• Osteoporosi e osteopenia: l'anemia cronica e il sovraccarico di ferro portano a una riduzione della densità ossea, rendendo le ossa fragili e più a rischio di fratture. Come conviverci:
• Monitoraggio: fai regolari densitometrie ossee e controlla i livelli di vitamina D e calcio.
• Farmaci: usa supplementi di calcio, se necessari e solo su indicazione medica, vitamina D e bifosfonati/altri farmaci su consiglio endocrinologico per rafforzare le ossa.
• Attività fisica: fai esercizi a basso impatto per migliorare la forza ossea.
Per gestire al meglio la talassemia, è importante monitorare regolarmente alcuni parametri:
• Livelli di ferro: esami del sangue per controllare il sovraccarico di ferro (ferritina) in associazione a Risonanza Magnetica (RMN) T2* cardiaca ed epatica.
• Funzione cardiaca: elettrocardiogramma (ECG) ed ecocardiogramma, ECG sec. Holter se necessario con prescrizione medica.
• Funzione epatica: esami del sangue (transaminasi e funzione epatica) e imaging per monitorare il fegato.
• Densità ossea: densitometria ossea (DEXA) per prevenire osteoporosi e fratture.
• Esami endocrini: controlli ormonali per prevenire disfunzioni endocrine
• Audiometria e visita oculistica: per controllare eventuali danni correlati alla terapia ferrochelante od alla malattia di base
• Emocromo con formula: per monitorare l'anemia e regolare la frequenza delle trasfusioni, se necessarie e la conta dei globuli bianchi con formula per i pazienti in terapia con deferiprone o con altri farmaci che potrebbero ridurre il numero di neutrofili. Controllare regolarmente questi parametri aiuta a prevenire complicanze e a gestire la malattia in modo ottimale.
L'ecografia addominale è essenziale per i pazienti con talassemia per monitorare:
• Milza e fegato: verifica l'ingrossamento (splenomegalia e epatomegalia), comuni a causa dell'accumulo di globuli rossi difettosi e del sovraccarico di ferro.
• Calcoli biliari: i pazienti con talassemia hanno un rischio maggiore di sviluppare calcoli biliari a causa dell'aumentata distruzione dei globuli rossi.
• Monitoraggio di eventuali complicanze del sovraccarico trasfusionale: l’ecografia aiuta a rilevare eventuali danni d’organo conseguenti all’accumulo di ferro e alle infezioni da virus dell’epatite, pregresse o attive (es.: epatite C). Deve essere eseguita con regolarità secondo linee guida poiché è fondamentale per la diagnosi precoce di carcinoma epatocellulare (HCC) per cui i pazienti talassemici sono più a rischio. L'ecografia può rilevare eventuali masse epatiche sospette, segnalando la necessità di ulteriori indagini, come la biopsia o la tomografia computerizzata (TC).
La stanchezza cronica è un sintomo comune nella talassemia, ma le sue cause possono essere multifattoriali e complesse:
• Anemia cronica: la ridotta produzione di emoglobina e i globuli rossi difettosi portano a una scarsa ossigenazione dei tessuti, provocando stanchezza e affaticamento.
• Sovraccarico di ferro: l'accumulo di ferro, derivante dalle trasfusioni frequenti, può danneggiare vari organi, incluso il cuore, il fegato e le ghiandole endocrine. Il danno al cuore (cardiomiopatia) e alle ghiandole che producono ormoni (ad esempio, ipotiroidismo e ipocorticosurrenalismo) può contribuire alla stanchezza.
• Problemi endocrini: disturbi ormonali, come l'ipotiroidismo, il diabete (causato dal sovraccarico di ferro) o l’ipocorticosurrenalismo sono comuni nei pazienti talassemici e possono peggiorare la sensazione di fatica.
• Sovraccarico di ferro nel muscolo scheletrico: l'eccesso di ferro può accumularsi anche nei muscoli, riducendo la loro capacità di funzionare correttamente e contribuendo alla sensazione di debolezza e affaticamento muscolare.
• Disturbi del sonno: i pazienti con talassemia possono soffrire di apnea del sonno, disturbi respiratori o altre problematiche legate al cuore e ai polmoni, che portano a un sonno di scarsa qualità, contribuendo alla stanchezza.
• Infiammazione cronica: alcuni studi suggeriscono che l'infiammazione cronica associata alla malattia e al trattamento (trasfusioni, chelazione del ferro) possa peggiorare la sensazione di fatica. Come gestire la stanchezza cronica nella talassemia:
• Trattamento dell'anemia: garantire livelli ottimali di emoglobina attraverso trasfusioni regolari e/o terapie innovative
• Controllo del sovraccarico di ferro: utilizzare efficacemente terapie chelanti del ferro per ridurre l'accumulo di ferro nei tessuti e prevenire danni agli organi vitali
• Gestione dei disturbi endocrini: monitorare e trattare tempestivamente disfunzioni ormonali come l'ipotiroidismo o il diabete. La terapia sostitutiva ormonale può essere utile.
• Esercizio fisico moderato: l'attività fisica regolare può migliorare la capacità aerobica, ridurre la sensazione di stanchezza e migliorare il benessere generale. L'esercizio deve essere adattato alle capacità individuali.
• Gestione del sonno: se necessario, trattare eventuali disturbi del sonno (ad esempio, con l'uso di un CPAP in caso di apnea notturna) per migliorare la qualità del riposo.
• Supporto psicologico e sociale: la stanchezza cronica può essere anche legata a fattori psicologici, come ansia e depressione, che sono più comuni nei pazienti con malattie croniche. Un supporto psicologico può essere fondamentale per gestire la fatica. In sintesi, la stanchezza cronica nella talassemia è causata da una combinazione di fattori fisici e metabolici, ma con una gestione adeguata dell'anemia, del sovraccarico di ferro e dei disturbi endocrini, è possibile migliorare significativamente la qualità della vita del paziente.
I pazienti con talassemia possono avere un rischio aumentato di sviluppare tumore del fegato. Le cause principali di questo aumento del rischio possono essere attribuite a vari fattori legati alla malattia come sovraccarico di ferro anche pregresso e storia di epatite C, danno ossidativo e/o compromissione del sistema immunitario. È quindi essenziale che i pazienti siano seguiti con regolarità per il monitoraggio del sovraccarico di ferro e che tutti siano trattati con le nuove terapie antivirali, se avevano contratto l’epatite. La terapia per l’epatite C riduce fortemente il rischio di tumore al fegato, ma non lo annulla soprattutto nei pazienti con cirrosi; per questo è fondamentale un regolare follow up con l’ecografia al fegato (ogni 6 mesi nei pazienti più a rischio).
Le masse di eritropoiesi extramidollari sono formazioni di tessuto ematopoietico che si sviluppano al di fuori del midollo osseo, in aree in cui normalmente non si verifica la produzione di globuli rossi. Questo fenomeno si verifica quando il midollo osseo non è in grado di produrre un numero sufficiente di cellule del sangue, portando il corpo a compensare attraverso l’attivazione di sedi extramidollari di eritropoiesi (eritropoiesi è appunto il processo che porta alla produzione dei globuli rossi), come milza, fegato, linfonodi e anche nei tessuti paravertebrali o in altre aree. Cause:
• L'eritropoiesi extramidollare è una risposta all'anemia cronica e alla distruzione accelerata dei globuli rossi.
• È più comune nei pazienti che ricevono un trattamento trasfusionale subottimale o che presentano anemia cronica grave. Conseguenze:
• Compromissione meccanica: le masse di eritropoiesi extramidollari, in particolare se localizzate in aree come la colonna vertebrale, possono causare compressione del midollo spinale, portando a sintomi neurologici come dolore, debolezza muscolare o compressione delle radici nervose fino alla paralisi nei casi più gravi.
• Aumento del volume degli organi: se le masse si sviluppano in organi come il fegato o la milza, possono causare un ingrossamento significativo, interferendo con la funzione di questi organi e causando ulteriori complicanze.
• Ostruzione vascolare: in rari casi, possono causare problemi di circolazione se comprimono i vasi sanguigni o altre strutture critiche. Trattamento:
• La prevenzione delle masse di eritropoiesi extramidollari si basa principalmente su un adeguato regime trasfusionale e sul controllo dell'anemia. In casi gravi, possono essere necessarie terapie specifiche come l’idrossiurea, la radioterapia o interventi neurochirurgici per rimuovere o ridurre la compressione, specialmente quando causano sintomi neurologici o meccanici.
Le persone con talassemia che raggiungono l'età adulta e invecchiano possono andare incontro a diverse complicanze legate alla malattia stessa e alla gestione terapeutica a lungo termine:
• Sovraccarico di ferro: con l'avanzare dell'età, l'accumulo di ferro può danneggiare maggiormente organi come il cuore, il fegato e gli altri organi bersaglio
• Osteoporosi: l'osteoporosi è una complicanza frequente nei pazienti con talassemia, aggravata dall'età.
• Cardiopatie: le malattie cardiache, in particolare la cardiomiopatia, lo scompenso cardiaco e le aritmie (come la fibrillazione atriale) sono una delle principali cause di morbilità e mortalità a lungo termine.
• Complicanze endocrine: con l'invecchiamento, è comune che i pazienti sviluppino complicanze endocrine, come il diabete mellito o l’ipocorticosurrenalismo.
• Problemi renali: anche la funzione renale può essere compromessa nel tempo, con rischio di sviluppare insufficienza renale cronica.
• Complicanze epatiche: il rischio di cirrosi e carcinoma epatocellulare è legato al sovraccarico di ferro e ad infezioni croniche da virus come l'epatite B e C. In sintesi, con l'aumento dell'età nei pazienti talassemici, il rischio di complicanze a carico di vari organi aumenta, richiedendo un follow-up regolare e una gestione medica integrata per prevenire e trattare tempestivamente le complicanze associate.

Il trattamento raccomandato per la talassemia Major trasfusione dipendente è costituito da trasfusioni di sangue regolari per tutta la vita, solitamente somministrate ogni due/quattro settimane, per mantenere il livello di emoglobina pre-trasfusione tra 9,5 e 10,5 g/dl e valori più elevati in categorie particolari di pazienti (per es. nei pazienti con complicanze cardiache o eritropoiesi inefficace). Questo regime trasfusionale favorisce una crescita normale, consente normali attività fisiche, sopprime adeguatamente l'attività del midollo osseo e quindi la sua espansione responsabile delle deformità scheletriche e riduce al minimo l'accumulo di ferro trasfusionale nella maggior parte dei pazienti.
Nella Talassemia Intermedia (NTDT) la trasfusione si può rendere necessaria in caso di riduzione di valori di emoglobina (in genere viene praticata in occasione di complicanze acute della malattia o è indicata in caso di livelli di Hb del paziente < 7 – 7.5 g/dL) o in situazioni cliniche particolari (infezioni, intervento chirurgico …). Quando la situazione clinica del paziente con Talassemia Intermedia richiede l’inizio di un supporto trasfusionale regolare, il regime trasfusionale raccomandato è analogo a quello indicato per la talassemia major (ovvero trasfusione ogni due o quattro settimane, per mantenere il livello di emoglobina pre-trasfusione tra 9,5 e 10,5 g/dl e valori più alti nei pazienti con complicanze cardiache o eritropoiesi inefficace.
Nell’Anemia falciforme il regime trasfusionale può essere occasionale o periodico: il primo in genere viene praticato in occasione di complicanze acute della malattia mentre il secondo può essere praticato per prevenire alcune complicanze o la loro progressione. La terapia trasfusionale è applicabile come trasfusione semplice o come scambio eritrocitario. La trasfusione semplice è indicata in caso di livelli di Hb del paziente ridotta, ma non dovrebbe essere applicata in caso di Hb del paziente >11 g/dL. Lo scambio eritrocitario è raccomandato nei casi in cui è necessario ridurre rapidamente la concentrazione di HbS senza aumentare l’ematocrito e la viscosità ematica o in caso di sintomi neurologici acuti, ed è efficace anche nel trattamento delle complicanze croniche. Al termine dello scambio eritrocitario il valore di Hb del paziente dovrebbe mantenersi < 10-11g/dL: valori più elevati contrastano con la necessità di ridurre la viscosità ematica, con un possibile peggioramento del quadro clinico o una più rapida evoluzione negativa. Lo scambio eritrocitario può essere eseguito manualmente o con separatore cellulare. Lo scambio eritrocitario manuale (salasso e restituzione di plasma autologo con concentrato eritrocitario omologo) è di più facile esecuzione in quanto non richiede strumentazione e personale specializzato. Può essere effettuato con un solo accesso vascolare o, preferibilmente, con due accessi vascolari distinti, uno per il prelievo del sangue autologo e l’altro per l’infusione del sangue di sostituzione. Lo scambio eritrocitrario con separatore cellulare (eritrocitoaferesi) richiede una struttura autorizzata e personale esperto in procedure aferetiche.
Sì, la trasfusione di sangue richiede il consenso informato firmato dal paziente e se questo è un minore deve essere firmato da entrambi i genitori o dal tutore.
Tutti i pazienti con talassemia devono essere trasfusi con sangue compatibile con ABO e Rh (C, c, D, E, e) e Kell per evitare l'alloimmunizzazione contro questi antigeni. Per tale motivo prima di iniziare la terapia trasfusionale, i pazienti dovrebbero avere una tipizzazione antigenica estesa dei globuli rossi che includa almeno gli antigeni A, B, O, C, c, D, E, e e Kell (anche se sarebbe preferibile un pannello completo di fenotipo/genotipo dei globuli rossi con altri sistemi gruppo ematici Lewis, I, P, MNSs) Se il paziente è già stato trasfuso, la tipizzazione dell'antigene può essere eseguita utilizzando test molecolari anziché sierologici. Deve essere disponibile quindi uno screening valido di gruppo e anticorpi prima che venga somministrata la trasfusione.
Le infezioni di virus, batteri e parassiti, trasmesse tramite trasfusione di sangue, rappresentano un rischio importante della terapia trasfusionale. Per tale motivo le regole di tracciabilità del sangue sono importanti e sancite dalla legge. Anche se in Italia il rischio residuo di trasmissione tramite trasfusione di sangue di patogeni clinicamente significativi (HIV, HBV, HCV e sifilide) è stato ridotto a livelli minimi, il problema permane perché i test di laboratorio potrebbero non riuscire a identificare i virus durante i primi giorni dell’infezione o a causa di una sensibilità imperfetta, e in quanto i donatori non vengono sottoposti a screening per gli agenti infettivi di nuova identificazione come coronavirus, epatite E, ceppi di influenza altamente virulenti e prioni; mancano inoltre test ampiamente accettati o utilizzati di routine per batteri, virus e altri patogeni (ad esempio, Yersinia enterocolitica, epatite A, toxoplasmosi, malaria). Per tali motivi è importante e fondamentale l’attenta selezione e lo screening del sangue dei donatori. Per tale motivo periodicamente viene eseguita la ricerca dei virus trasmissibili con le trasfusioni.
Ormai tutte le sacche di Globuli rossi concentrati sono filtrate al momento della donazione e non più al letto del paziente. Nei pazienti con talassemia che hanno ripetute gravi reazioni allergiche alla trasfusione o per i pazienti con deficit di immunoglobulina A (IgA) può essere utile trasfondere globuli rossi lavati. I globuli rossi lavati devono essere trasfusi entro 24 ore, e questa durata di conservazione più breve crea la possibilità di spreco se i pazienti non sono disponibili per la trasfusione al momento della preparazione del sangue.
La quantità di sangue da trasfondere dipende dal numero di globuli rossi per unità e dalla concentrazione dei globuli rossi nella sacca. Per tale motivo si utilizzano dei calcoli per raggiungere gli obiettivi ematologici e gli obiettivi clinici del regime trasfusionale.
Possiamo affermare che per gli adulti, un'unità di sangue può essere infusa in circa 60 - 90 minuti, tuttavia, è il medico che ad ogni trasfusione deve decidere la velocità della trasfusione sulla base dello stato clinico del paziente.. Si deve prestare particolare attenzione ai bambini, ai pazienti con insufficienza cardiaca o livelli iniziali di emoglobina molto bassi.
La richiesta trasfusionale nei pazienti talassemici non splenectomizzati sono generalmente più elevati rispetto ai pazienti splenectomizzati (circa il 30% più elevati). Per tale motivo l’asportazione della milza era una procedura terapeutica per molti i pazienti affetti da Talassemia fino a qualche decennio addietro. Con i moderni protocolli di cura, tale procedura è solo eccezionalmente effettuata, anche alla luce delle possibili complicanze (vedi capitolo milza).
La trasfusione di sangue espone il paziente ad alcuni i rischi ed eventi avversi, tra cui le reazioni trasfusionali febbrili non emolitiche che erano comuni nei decenni passati, ma sono state drasticamente ridotte dalle nuove tecniche di raccolta. Le reazioni allergiche sono solitamente dovute alle proteine plasmatiche e vanno da lievi (orticaria, prurito e vampate di calore) a gravi (broncospasmo, ipotensione, anafilassi). Le reazioni emolitiche acute iniziano entro pochi minuti o talvolta ore dall'inizio di una trasfusione e sono caratterizzate dall'insorgenza improvvisa di febbre, brividi, dolore lombare, senso di morte imminente, dispnea, emoglobinuria e shock. Queste reazioni insolite derivano più comunemente da errori nell'identificazione del paziente o nella tipizzazione del sangue e nei test di compatibilità. Tali reazioni sono divenute estremamente rare grazie alle attente procedure trasfusionali oggi adottate. La produzione di anticorpi contro i Globuli rossi del donatore, è una complicazione comune della terapia trasfusionale, che si verifica in circa il 10-20% dei pazienti con talassemia. Le reazioni trasfusionali ritardate si verificano solitamente 5-14 giorni dopo la trasfusione e sono caratterizzate da livelli inaspettati di anemia, nonché da malessere e ittero. Il sovraccarico circolatorio associato alla trasfusione può verificarsi in presenza di disfunzione cardiaca riconosciuta o non riconosciuta o quando la velocità di trasfusione è inappropriatamente rapida. I segni e i sintomi includono dispnea e tachicardia. Infine le infezioni trasmesse tramite trasfusione, tra cui virus, batteri e parassiti, rappresentano un rischio della trasfusione di sangue (vedi risposta alla domanda n. 6).

La splenectomia è la rimozione della milza attraverso un intervento chirurgico, che solitamente viene eseguito in via laparoscopica (senza taglio dell’addome) oppure, eccezionalmente, in via laparotomica (con taglio dell’addome). La splenectomia viene indicata in diverse malattie del sangue.
L’asplenia è la condizione in cui la milza non si è sviluppata per una malformazione congenita oppure non funziona anche se è presente in addome oppure è andata in progressiva regressione fino alla scomparsa. Queste ultime due condizioni colpiscono particolarmente i soggetti con anemia a cellule falciformi perché in questa malattia la milza sviluppa un danno importante già nei primi mesi di vita, legato alla presenza dell’emoglobina S associata o meno ad altre varianti (mutazioni della beta talassemia, emoglobina C, etc).
Nei soggetti che non hanno la milza oppure essa non funziona correttamente, il rischio maggiore è di sviluppare infezioni gravi causate specialmente da alcuni batteri, chiamati capsulati, cioè, ricoperti da una capsula, una “corazza”. La milza correttamente funzionante ne permette l’eliminazione dal sangue ed evita che questi germi possano causare infezioni gravi e disseminate, potenzialmente mortali, come la sepsi, la meningite e la polmonite. L’assenza o il malfunzionamento della milza aumenta anche il rischio di eventi trombotici, che causano alterazioni del flusso sanguigno in diverse parti del corpo.
Per ridurre il rischio di infezioni gravi è necessario eseguire tutti i vaccini prescritti. Sono assolutamente raccomandati i vaccini contro i batteri capsulati (pneumococco, meningococco, Haemophilus influenzae tipo B), la vaccinazione anti-influenzale annuale e quella antiCOVID-19. E’ raccomandata la profilassi antibiotica nei primi due anni dopo la splenectomia. I soggetti con anemia a cellule falciformi, anche se non hanno eseguito la splenectomia, devono eseguire la profilassi antibiotica giornaliera nei primi 5 anni di vita. La profilassi antibiotica consiste nell’assumere una piccola dose di antibiotico tutti i giorni, per garantire una maggiore protezione in assenza della milza funzionante nei periodi ritenuti a maggior rischio di infezioni gravi, come i primi 5 anni di vita nei bambini con anemia falciforme e nei primi 2 anni dopo la splenectomia in tutti gli altri soggetti splenectomizzati. In caso di febbre o di morso di animale, vanno eseguiti esami del sangue ed iniziato immediatamente antibiotico. Per ridurre il rischio trombotico legato alla splenectomia non ci sono al momento interventi specifici di prevenzione. Uno stile di vita sano, eliminazione del fumo di sigaretta, alimentazione varia e sana, esercizio fisico regolare, sono interventi necessari per ridurre il rischio trombotico nella popolazione generale e sono particolarmente importanti nei soggetti splenectomizzati o asplenici, che hanno un rischio più alto di sviluppare trombosi.
In assenza di milza funzionante, la febbre può essere il segno iniziale di un’infezione grave e rapidamente progressiva. Per questa ragione, in caso di febbre, ogni paziente splenectomizzato o con anemia falciforme deve recarsi in ospedale, eseguire esami ematochimici ed iniziare terapia antibiotica immediatamente. Se gli esami e la visita clinica indicano l’assenza di un’infezione grave, allora il paziente può tornare a casa e continuare terapia antibiotica orale. In caso di impossibilità a recarsi in ospedale entro poche ore dall’inizio della febbre, è assolutamente necessario iniziare immediatamente terapia antibiotica a dosaggio pieno a casa ed eseguire visita clinica ed esami del sangue entro 18-24 ore dall’inizio della febbre. Dunque, ogni paziente splenectomizzato deve avere sempre a disposizione, a casa o in viaggio, una confezione di antibiotico adatta al proprio peso da iniziare appena compare febbre.
I soggetti splenectomizzati o asplenici devono eseguire tutte le vaccinazioni previste per legge ed alcune vaccinazioni aggiuntive, normalmente non previste in età adulta. L’attuale calendario vaccinale in età pediatrica prevede tutte le vaccinazioni raccomandate per i soggetti splenectomizzati; pertanto, è molto importante che i genitori di bambini con asplenia o splenectomizzati acconsentano a vaccinare i bambini in maniera completa. I bambini più grandi o gli adulti devono eseguire le vaccinazioni contro i batteri capsulati, pneumococco, meningococco ed Haemophilus influenzae tipo B, che sono i maggiori responsabili delle infezioni gravi e rapidamente progressive, particolarmente rischiose nei soggetti senza milza o con milza non funzionante. È raccomandata anche la vaccinazione anti-influenzale ogni anno.
I vaccini, così come l’inizio immediato dell’antibiotico in caso di febbre e la profilassi antibiotica in determinate condizioni, sono gli strumenti necessari per ridurre il rischio di sviluppare un’infezione grave, potenzialmente mortale. Quindi, in assenza di queste procedure preventive, il rischio è di sviluppare un’infezione grave, che può peggiorare rapidamente e portare a shock settico e morte.
No, le unità di emazie concentrate leucodeplete che attualmente si usano per le trasfusioni di sangue contengono un quantitativo estremamente basso di anticorpi, che non risultano protettivi in chi riceve trasfusioni di sangue. Quindi, dai dati disponibili, non risulta alcun trasferimento di immunità dal donatore al ricevente le unità di emazie concentrate leucodeplete e pertanto chi riceve trasfusioni di sangue non viene protetto dagli anticorpi del donatore.
Sì, i soggetti senza milza o con milza non funzionante possono avere una vita regolare, senza particolari problemi legati a questa condizione, a patto che siano protetti dalle vaccinazioni raccomandate, dalla terapia antibiotica appena inizia la febbre e dalla profilassi antibiotica, laddove raccomandata. Questi interventi rappresentano la massima protezione attualmente disponibile per i soggetti splenectomizzati o asplenici e lo strumento attuale per evitare le complicanze legate alla splenectomia o all’asplenia.

I chelanti del ferro disponibili nella pratica clinica sono tutti efficaci per rimuovere il ferro in eccesso quando utilizzati a dosaggio appropriato e quando l’aderenza terapeutica è ottimale. Un effetto sinergico è stato dimostrato con l’utilizzo di deferiprone e deferoxamina in associazione per la rimozione del ferro a livello cardiaco ed il miglioramento della frazione di eiezione cardiaca (cioè della funzionalità del cuore). Anche l’associazione di deferiprone/deferasirox o deferoxamina/deferasirox è effettuabile in pratica clinica e potenzialmente efficace in particolari condizioni.
Quando la terapia chelante è eseguita a dosaggio appropriato e sotto stretto controllo medico, la probabilità d’insorgenza di effetti collaterali è bassa. Per quanto riguarda i chelanti orali, prevalgono gli effetti gastrointestinali (nausea, gonfiore, diarrea, stipsi…), spesso correlati agli eccipienti presenti nelle diverse formulazioni. L’utilizzo di deferasirox può comportare, soprattutto all’inizio, la comparsa di lesioni allergiche sulla cute che di solito scompaiono spontaneamente o con l’uso di antistaminici. Anche i valori di creatinina possono aumentare in corso di terapia con deferasirox ma, solitamente, rientrano con la riduzione del dosaggio. Sono stati segnalati casi di sanguinamento gastro-intestinale e quadri infiammatori intestinali così come casi di tossicità a livello tubulare renale soprattutto in pazienti che assumevano dosaggi eccessivi di deferasirox rispetto al grado di accumulo di ferro. Il deferiprone è associato al rischio di riduzione di una classe di globuli bianchi che si chiama neutrofili (neutropenia), anche severo (agranulocitosi), che può mettere a rischio di infezioni anche gravi il paziente qualora il farmaco non venga prontamente sospeso. Anche le articolazioni possono essere interessate da quadri di tipo infiammatorio correlati alla precipitazione nelle membrane sinoviali di complessi ferro-deferiprone. La deferoxamina somministrata a dosaggi elevati può provocare a tossicità a livello del sistema uditivo ed oculare. L’effetto collaterale più frequente della terapia con deferoxamina sottocutanea è costituito dalle reazioni nel sito di infusione (dolore, prurito, infiltrato).
Poiché non esiste consenso sul significato clinico del ferro pancreatico, non è raccomandato basarsi esclusivamente su questo parametro per intensificare la terapia ferrochelante. Ciò dovrà avvenire solo dopo una valutazione complessiva che tenga conto del valore di ferro epatico e cardiaco e del bilancio del ferro.
Alcuni studi condotti su casistiche limitate hanno correlato i valori di ferritina a quelli di concentrazione epatica di ferro (LIC) suggerendo di mantenere la ferritina sotto 1000 ng/mL e il più vicino possibile al range di normalità. Si sottolinea però che per capire la reale situazione del ferro è fondamentale effettuare periodicamente la Risonanza Magnetica per misurare i depositi di ferro epatico (che sono quelli che più correlano con la ferritina) e l’eventuale presenza di ferro cardiaco.
La chelazione del ferro in un paziente con talassemia trasfusione-dipendente non andrebbe interrotta quando vengono raggiunti valori normali di ferritina ma modulata opportunamente riducendone eventualmente il dosaggio. È noto infatti che per azzerare il ferro libero non legato alla transferrina (NTBI) che è tossico per i tessuti e compare in circolo già dopo poche ore dalla sospensione della chelazione, è sufficiente un dosaggio minimo di chelante.
E’ indicato iniziare la terapia ferrochelante nei pazienti con talassemia non-trasfusione-dipendente quando i valori di concentrazione epatica di ferro superano 5 mgFe/gFegato d.w.. È fondamentale eseguire la periodica valutazione del ferro epatico tramite RM ed interrompere la chelazione quando vengono raggiunti valori ottimali (<3 mgFe/gFegato d.w.).
In alcuni pazienti che presentavano effetti collaterali da deferasirox, la suddivisione della dose in due somministrazioni giornaliere ha portato alla scomparsa dei sintomi ed è stata egualmente efficace in termini di controllo del ferro. Si tratta di pazienti che metabolizzano il farmaco più lentamente e, dunque, possono andare incontro più facilmente ad effetti collaterali.
La quantificazione del ferro tramite RM permette di valutare la concentrazione del ferro e correlarlo al rischio di complicanze. In media andrebbe eseguita annualmente, ma intervalli più lunghi sono adeguati quando la situazione è ottimale e la chelazione non è cambiata, e intervalli più corti possono essere richiesti quando la situazione non è ottimale o stabile.
È raccomandato misurare i valori di ferritina almeno ogni 3 mesi. Misure più frequenti permettono di identificare eventuali trend (in salita o in discesa) dei valori per l’eventuale modifica del dosaggio della terapia chelante.
In caso di segni di infezione lieve non è in generale raccomandato sospendere la chelazione. Il paziente febbrile in terapia con deferiprone deve essere tempestivamente valutato dal medico per il rischio di agranulocitosi ed eventualmente sospendere in via prudenziale la chelazione in attesa dell’inquadramento clinico-laboratoristico. In caso di terapia con deferoxamina è raccomandato sospendere la terapia in caso di febbre accompagnata da sintomi gastrointestinale (dolore, diarrea…) perché la presenza di deferoxamina favorisce l’infezione da Yersinia Enterocolitica che può essere molto grave.
L’utilizzo di vitamina C a basse dosi assunte in concomitanza dell’infusione di deferoxamina può favorire l’escrezione di ferro. Dosaggi elevati di vitamina C possono provocare la massiva liberazione di ferro con tossicità acuta a livello cardiaco, potenzialmente mortale nei pazienti con accumulo severo. Per questo motivo l’opportunità di associare la vitamina C alla terapia chelante deve essere sempre discussa col medico.
La chelazione andrebbe idealmente sospesa tre mesi prima di una gravidanza o comunque non appena il test di gravidanza è positivo. Sono comunque numerosi i casi descritti di donne talassemiche che, inconsapevolmente, hanno proseguito la terapia chelante anche per diverse settimane dall’inizio della gravidanza senza effetti negativi su mamma e bambino. Poiché in assenza di chelazione si forma rapidamente il ferro libero non legato a transferrina (NTBI) che è potenzialmente molto tossico, il medico valuterà l’indicazione alla chelazione con deferoxamina a partire dal terzo trimestre (o prima in caso di disfunzione cardiaca e/o accumulo di ferro nel cuore).
L’unico chelante che può essere utilizzato durante l’allattamento è la deferoxamina non essendo attiva per via orale.
La conta dei neutrofili deve essere controllata ogni settimana. Tale intervallo si è dimostrato efficace nell’individuare casi di neutropenia ed agranulocitosi che si sono risolti con l’interruzione del trattamento. Nei pazienti che durante il primo anno di trattamento con deferiprone non hanno presentato diminuzione della conta dei neutrofili, la frequenza del monitoraggio può essere estesa fino all’intervallo di trasfusione del sangue a giudizio del medico e comunque dopo aver adeguatamente istruito il paziente riguardo alle misure da adottare per la riduzione del rischio necessarie durante la terapia (farmaci concomitanti, infezioni…)
Dopo il ripristino della conta dei granulociti neutrofili, solitamente è possibile riprendere il farmaco effettuando ogni settimana una conta ematica completa, dei globuli bianchi, dei neutrofili e delle piastrine, per tre settimane consecutive, per accertarsi che il paziente si riprenda pienamente.
Per l’elevatissimo rischio di ricorrenza dell’agranulocitosi, è’ fortemente sconsigliato riprendere l’assunzione di deferiprone in chi ha già avuto un primo episodio.
I chelanti orali possono essere assunti a digiuno o, se necessario, in concomitanza di un pasto leggero. I pazienti che hanno difficoltà a deglutire le compresse intere possono utilizzare la formulazione liquida del deferiprone o, nel caso del deferasirox, possono frantumare le compresse e mescolarle a cibi morbidi come yogurt o purea di mela.

Il meccanismo d'azione specifico dell'idrossiurea (HU) non è del tutto noto. Uno dei meccanismi con cui agisce l'idrossiurea è l'incremento della concentrazione dell'emoglobina fetale (HbF). L'HbF interferisce con la polimerizzazione dell'HbS e di conseguenza ostacola la falcizzazione eritrocitaria. In tutti gli studi clinici dopo l'uso di HU è stato osservato un aumento significativo dell'HbF rispetto al valore iniziale. Altri effetti farmacologici noti dell'HU che possono contribuire ai suoi effetti benefici per l'anemia falciforme comprendono la diminuzione dei neutrofili, l'aumento del contenuto idrico degli eritrociti, l'aumento della deformabilità delle cellule falciforme, l'adesione alterata dei globul rossi all'endotelio, e l’aumentato rilascio di ossido nitrico, tutti meccanismi in parte coinvolti nel processo di falcizzazione.
Diversi studi clinici hanno dimostrato l’efficacia del trattamento con Idrossiurea nella prevenzione delle crisi dolorose e delle altre complicanze legate alle malattie nei bambini ed adolescenti, mostrando altresì un elevato profilo di sicurezza. L’età minima per iniziare il trattamento è nove mesi. Uno studio effetuato su bambini di età compresa tra i 9 mesi e i 18 mesi ha dimostrato l’efficacia dell’HU nel ridurre le crisi dolorose e le dattiliti nei pazienti più giovani, il numero di ospedalizzazioni e il ricorso alle trasfusioni.
Oggi che la sopravvivenza dei pazienti con anemia falciforme è notevolmente aumentata rispetto al passato sono aumentate anche le preoccupazioni riguardanti i potenziali effetti a lungo termine del trattamento con HU, soprattutto rispetto al tema della fertilità e del rischio di tumori a lungo termine. Oggi molti pazienti assumono idrossiurea da oltre 10-20 anni, senza prove che suggeriscano un aumento del rischio di neoplasie maligne. Naturalmente, i pazienti affetti da anemia falciforme presentano lo stesso rischio di malignità della popolazione generale. Con l’aumento della sopravvivenza dovuto alla terapia con HU, ci saranno inevitabilmente alcuni pazienti con anemia falciforme che svilupperanno leucemia o altri tumori maligni, ma ciò non dovrebbe automaticamente indicare l’HU come agente eziologico. Sarà essenziale un attento e continuo monitoraggio dei pazienti esposti a lungo termine alla terapia con HU per chiarire qualsiasi aumento del rischio di neoplasie maligne associato al trattamento.
L'idrossiurea è un farmaco ben tollerato con pochissime tossicità a breve o lungo termine. La tossicità a breve termine riscontrata più comunemente comprende le citopenie lievi e reversibili. Sebbene tutte le linee cellulari possano essere colpite, la tossicità ematologica più comunemente riscontrata comprende la neutropenia (riduzione dei globuli bianchi) da lieve a moderata, seguita dalla reticolocitopenia (riduzione dei reticolociti o giovani globuli rossi) e quindi dalla trombocitopenia (riduzione delle piastrine). Negli studi clinici, circa il 20% dei partecipanti sviluppa lievi citopenie, che sono sempre reversibili sospendendo temporaneamente la terapia o, se persistente, diminuendo leggermente la dose di HU. Non ci sono prove che suggeriscano che l'HU abbia effetti avversi sulla funzionalità renale o epatica. Tuttavia, la funzionalità renale deve essere misurata all’inizio del trattamento, poiché l’HU viene eliminata principalmente attraverso l’escrezione renale. Gli effetti collaterali clinici più comuni riportati della terapia con HU comprendono lievi disturbi gastrointestinali (nausea e vomito), scurimento della pelle o del letto ungueale e raramente lieve assottigliamento dei capelli o ulcere malleolari (molto rare).
Gli effetti dell'idrossiurea sulla fertilità e sulla gravidanza rappresentano una preoccupazione comune sia per i pazienti che per gli operatori. Alla luce dei dati della letteratura non esiste un impatto negativo chiaramente definito o osservato della terapia con HU sulla fertilità e nessuna evidenza clinica di teratogenicità cioè il rischio di malformazioni fetali legate al farmaco, ma sono certamente più che opportune ulteriori indagini man mano che un numero maggiore di pazienti trattati raggiunge l’età adulta. Gli uomini con anemia falciforme, indipendentemente dall'esposizione all'HU, presentano numerose anomalie spermatiche e riproduttive che potrebbero ridurre la fertilità. Modelli animali hanno documentato gli effetti avversi dell’HU sulla funzione e sulla morfologia degli spermatozoi, ma pochissimi dati sull’uomo confermano o addirittura suggeriscono che la terapia con HU influenzi negativamente la fertilità. In uno studio americano effettuato su pazienti affetti da anemia falciforme, nonostante la raccomandazione che i partecipanti utilizzassero contraccezioni per prevenire la gravidanza, numerosi pazienti maschi hanno riportato gravidanze con buoni esiti. Esistono ancora meno dati che valutano gli effetti dell’HU sulla fertilità nelle donne, sebbene la gravidanza sia riconosciuta come ad alto rischio nelle pazienti falcemiche con un rischio notevolmente aumentato di aborto spontaneo e di morte materna. Analogamente agli uomini, molte gravidanze portate a termine senza complicanze per la madre ed il nascituro si sono verificate in donne che assumevano HU. Poiché sempre più uomini e donne con SCA raggiungono l’età adulta, sarà fondamentale valutare attentamente gli effetti dell’esposizione all’HU sulla fertilità, ma i dati attuali non suggeriscono che la terapia porti alla sterilità. Mancano dati riguardanti i potenziali effetti dell’HU sulle donne durante la gravidanza e l’allattamento, attualmente è raccomandato sospendere il farmaco in tali condizioni.
La sospensione del trattamento con idrossiurea deve essere concordata con il Medico, e necessita di uno stretto monitoraggio del paziente, clinico e laboratoristico. La sospensione improvvisa, in assenza di trattamenti alternativi come il supporto trasfusionale, può determinare incremento della falcizzazione eritrocitaria e comparsa di manifestazione cliniche acute di malattia.
In genere i pazienti sottoposti a regime trasfusionale cronico (trasfusioni semplici o eritrocitoaferesi) non effettuano terapia con HU. Il solo trattamento trasfusionale permette di ottenere valori di Hb stabili con valori di HbS <30% che prevengono l’insorgenza di manifestazioni acute di malattia. Tuttavia, in alcuni casi, la terapia trasfusionale cronica può essere ‘combinata’ con la terapia con HU in quanto l’effetto dell’HU, che in alcuni casi può non bastare da sola a controllare il quadro clinico, consente di ridurre il fabbisogno trasfusionale, allungare gli intervalli tra una trasfusione e l’altra, il conseguente sovraccarico marziale e gli accessi in ospedale.
Così come nell’anemia falciforme così anche nella talassemia l’HU agisce incrementando i valori di emoglobina fetale. È stato dimostrato che la terapia con HU può determinare una eritropoiesi più efficace, con conseguente incremento dei valori di Hb. L'HU può avere un ruolo più generale nell'aumentare la sintesi globinica, in alcuni pazienti con determinate mutazioni genetiche vi è una probabile migliore risposta al trattamento. Il trattamento va generalmente iniziato con un dosaggio ridotto, progressivamente incrementato fino alla massima dose tollerata. La risposta al trattamento, intesa come incremento del valore emoglobinico ≥ 1 g/dL e miglioramenti evidenziati che riguardano le complicanze d’organo che hanno motivato l’inizio del trattamento, dovrebbe essere valutata dopo 6 mesi di trattamento. I pazienti non responders dovrebbero interrompere il trattamento ed i responders dovrebbero essere valutati ogni 6 mesi per garantire il mantenimento della risposta.

Voxelotor è un famaco orale capace di inibire la polimerizzazione dell’HbS, in grado di aumentare il valore di Hb, che ha come indicazione il trattamento dell'anemia emolitica dovuta ad anemia falciforme in pazienti a partire dai 12 anni di età. Attualmente Voxelotor non è più prescrivibile. Nell’agosto 2024 l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha avviato la revisione di Voxelotor dopo che i dati di uno studio clinico hanno segnalato un numero maggiore di decessi tra i pazienti che assumevano il farmaco rispetto quelli che assumevano placebo. Al momento non vi sono prove chiare che Voxelotor abbia causato i decessi summenzionati e si stanno ancora attendendo informazioni su molti dei casi indicati. L’EMA valuterà i dati emersi dagli studi, tenendo conto di tutte le informazioni disponibili sui benefici e i rischi del medicinale. Successivamente, l'Agenzia formulerà una raccomandazione sull’eventuale modifica, sospensione o revoca dell'autorizzazione all'immissione in commercio nell'Unione Europea.
Il Crizanlizumab è un anticorpo monoclonale per via endovena che si lega alla P-selectina inibendo l’adesione dei neutrofili all’endotelio, riducendo la vaso-occlusione. In Italia ed in Europa il farmaco non è più disponibile a partire da maggio 2023 quando l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) a seguito della raccomandazione del Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha comunicato di revocare l'autorizzazione all'immissione in commercio condizionata per Adakveo (crizanlizumab) ottenuta nell’ottobre 2020 per la prevenzione delle crisi vaso- occlusive ricorrenti nei pazienti con malattia a cellule falciformi di età uguale e superiore a 16 anni. Il medicinale si è, infatti, rilevato dai dati dello studio di fase III (studio STAND) inefficace nella riduzione del numero di crisi dolorose che richiedono una visita medica o un trattamento domiciliare in pazienti con malattia a cellule falciformi. Non sono stati identificati nuovi problemi di sicurezza. Negli USA è tutt’ora prescrivibile.
Attualmente sono in corso diversi studi clinici che utilizzano le seguenti molecole coinvolte nei meccanismi fisiopatologici dell’anemia falciforme:
• Molecole che agiscono sul metabolismo del ferro: Vamifeport;
• Molecole che agiscono sul metabolismo del globulo rosso: Mitapivat ed Etavopivat, AG-946;
• Molecole che agiscono sulla componente emolitica: emopexina, L-arginina;
• Molecole che agiscono sulla componente infiammatoria: crovalimab, adamts13 ricombinante, acidi grassi, epeleuton, inclacumab, tocilizumab, canakinumab.
Luspatercept è attualmente prescrivibile ai pazienti di età uguale o superiore ai 18 anni con beta talassemia trasfusione dipendente regolarmente trasfusi secondo i criteri di inclusione ed esclusione al trattamento previsti dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Anche i pazienti precedentemente non trasfusione dipendenti che abbiano sviluppato la trasfusione-dipendenza possono accedere alla terapia con luspatercept purché regolarmente trasfusi.
Il farmaco agisce favorendo la maturazione dei precursori eritroidi in globuli rossi, aumentando quindi il livello di Hb e riducendo il numero di trasfusioni di globuli rossi. Si somministra sottocute a livello di braccio, coscia o addome ogni 21 giorni.
Non abbiamo dati certi a disposizione per predire quale sarà la risposta del singolo paziente al farmaco in termini di aumento del valore di Hb, riduzione del carico trasfusionale e quindi raggiungimento della trasfusione indipendenza.
Nello studio registrativo di fase 3 (BELIEVE) gli eventi avversi più frequentemente riportati (> 10%) sono stati dolore osseo, artralgie e cefalea. In misura minore sono stati riportati iperuricemia, ipertensione. La comparsa del dolore avviene generalmente alcuni giorni (2-4) dopo la somministrazione del farmaco, soprattutto nelle prime settimane di terapia, e tende a risolversi in pochi giorni (risponde bene ai comuni analgesici) e a ridursi progressivamente nel corso della terapia. Ulteriori dati sono necessari per capire il reale rischio di eventi trombotici e il rischio di aumento dei focolai di eritropoiesi extramidollare.
Gli studi sugli animali hanno mostrato tossicità embrio-fetale pertanto Luspatercept è controindicato in donne in gravidanza e allattamento. Il farmaco non deve essere utilizzato per almeno 3 mesi prima dell’inizio di una gravidanza. Per lo stesso motivo, è raccomandato un regime contraccettivo efficace per la durata della terapia e per i 3 mesi successivi l’interruzione del trattamento. Nel caso in cui una donna in trattamento con Luspatercept risulti in gravidanza, il farmaco deve essere immediatamente sospeso. Deve essere fornito un counseling appropriato sulla base delle evidenze esistenti sino ad oggi per la valutazione del rischio.
Siamo in attesa dei risultati definitivi dello studio di fase 3 (ENERGIZE-T) con la molecola orale Mitapivat in grado di aumentare l’espressione dell’enzima piruvato chinasi (PK) nel globulo rosso producendo un ambiente meno ossidato che favorisce l’eritropoiesi, e consentendo quindi al globulo rosso che entra in circolo di sopravvivere meglio. Questo si traduce in un incremento del valore di Hb ed una riduzione del carico trasfusionale come dimostrato dallo studio di fase 2 e dai dati preliminari dello studio di fase 3.
Negli ultimi anni sono stati valutati in modelli animali (topi) con talassemia diverse molecole in grado di ridurre il sovraccarico di ferro, tra questi epcidina-mimetici, epcidina-agonisti ed apotransferrina. Tuttavia gli studi clinici condotti su pazienti con beta talassemia trasfusione dipendente ed indipendente non ne hanno confermato l’efficacia. Attualmente è in corso uno studio per valutare l’efficacia e la sicurezza della molecola orale etadeferitrin (SP-420) a differenti dosaggi in pazienti con beta talassemia trasfusione dipendenti, di età uguale o superiore a 18 anni, con sovraccarico di ferro.
A breve sarà prescrivibile il Luspatercept per i pazienti con anemia associata a beta talassemia trasfusione indipendente di età uguale o superiore ai 18 anni. L’autorizzazione all’immissione in commercio con procedura centralizzata da parte della Commissione Europea si basa sui risultati dello studio di Fase 2 BEYOND che ha valutato l’efficacia e la sicurezza di luspatercept rispetto a placebo in 145 adulti con beta-talassemia non trasfusione-dipendente. Il 77% dei pazienti trattati con con luspatercept ha mostrato un aumento ≥1.0 g/dL della concentrazione media di emoglobina rispetto al basale. Le reazioni avverse più comuni osservate nel ≥10% dei pazienti trattati con luspatercept erano dolori ossei (36%), cefalea (30%), artralgia (29%), dolori alla schiena (28%), preipertensione (23%), ipertensione (20%), tosse (18%), diarrea (17%), malattia simil-influenzale (17%), astenia (13%), influenza (13%), insonnia (11%) e nausea (10%).
Siamo in attesa dei risultati definitivi dello studio di fase 3 (ENERGIZE) con la molecola orale Mitapivat in grado di aumentare l’espressione dell’enzima piruvato chinasi (PK) nel globulo rosso producendo un ambiente meno ossidato che favorisce l’eritropoiesi, e consentendo quindi al globulo rosso che entra in circolo di sopravvivere meglio. Questo si traduce in un incremento del valore di Hb superiore a 1 g/dL come dimostrato dallo studio di fase 2 e dai dati preliminari dello studio di fase 3. Ci sono nuovi farmaci per i pazienti con Emoglobina H? Ci sono in corso di studi clinici per i pazienti con Emoglobina H trasfusione dipendente e trasfusione indipendente con le seguenti molecole: • Luspatercept • Mitapivat • Etavopivat

Nel caso della talassemia guarire significa non avere più bisogno di trasfusioni, mantenendo nel tempo livelli di emoglobina compatibili con una buona qualità di vita, senza che il midollo osseo debba sforzarsi per contrastare l’anemia.
Nel caso della anemia falciforme guarire significa non avere più crisi dolorose che nascono dalla occlusione dei vasi sanguigni compromettendo la qualità di vita.
La terapia genica è una terapia innovativa che ha l’obiettivo di trattare una patologia agendo direttamente sulle sue basi genetiche, fornendo all’organismo una copia corretta di un gene difettoso o un altro gene che possa compensarne il malfunzionamento. Nel caso della talassemia e dell’anemia falciforme la correzione genetica avviene a livello di cellule staminali ematopoietiche (le cellule che sono in grado di moltiplicarsi e differenziarsi nelle cellule del sangue e quindi anche nei globuli rossi), ed ‘ex vivo’, in quanto la correzione genetica delle staminali avviene fuori dal corpo del paziente, in laboratorio.
Terapia genica è un termine generale. Nel caso della talassemia e dell’anemia falciforme, la terapia genica può essere classificata in:
• ‘Terapia genica additiva’ che utilizza un virus reso innocuo come ‘vettore’, per trasferire cioè nelle cellule staminali ematopoietiche il materiale genetico che corregge la malattia;
• ‘Editing genomico (o genetico)’ che non utilizza virus ma modifica direttamente il materiale genico (DNA) difettoso delle cellule staminali ematopoietiche attraverso delle ‘forbici molecolari’, delle particolari proteine capaci di individuare esattamente il punto del DNA in cui agire e inattivare o attivare un gene. L’editing genomico approvato dalle autorità regolatorie europee agisce inattivando un gene che impedisce la produzione di emoglobina fetale dopo la nascita. Gli alti valori di emoglobina fetale nei pazienti sottoposti a editing genomico, funzionano da supplenti rispetto all’emoglobina adulta che è assente o ridotta per il difetto genetico alla base della talassemia e diluiscono l’emoglobina S causa delle crisi vaso-occlusive nel caso dell’anemia falciforme. Sia la terapia genica additiva che l’editing genomico richiedono che le cellule staminali ematopoietiche del paziente, localizzate soprattutto nel midollo osseo, vengano distrutte dalla chemioterapia prima che le cellule modificate in laboratorio vengano reinfuse. La terapia genica additiva per la talassemia e l’anemia falciforme non è disponibile in Europa.
Dobbiamo immaginare la terapia genica come un trapianto di midollo particolare in cui non c’è donatore esterno ma ogni paziente è donatore di sé stesso. Per questo motivo non c’è rischio di una complicanza molto grave che si chiama ‘malattia del trapianto contro l’ospite (in inglese GvHD) cioè che le cellule trapiantate aggrediscano il paziente né di rigetto perché ovviamente l’organismo del paziente riconosce come sue le cellule che abbiamo modificato in laboratorio e gli reinfondiamo. Però, come nel trapianto classico, prima di reinfondere le cellule modificate e corrette, dobbiamo effettuare una chemioterapia con un farmaco che si chiama busulfano che può dare effetti collaterali come nausea, diarrea, inappetenza ed inoltre una complicanza epatica che può essere grave anche se gestibile. La chemioterapia produce la distruzione del midollo preesistente e c’è una fase che si definisce di aplasia in cui il paziente deve stare in ospedale per il rischio di infezioni, perché non produce globuli bianchi, e di emorragie perché non produce piastrine (le emorragie vengono infatti prevenute con trasfusioni di piastrine).
Al momento non ci sono prove in questo senso. In attesa di avere maggiori dati col passare del tempo, si può dire che è vero che l’emoglobina fetale cede più difficilmente l’ossigeno ai tessuti e quindi è teoricamente meno vantaggiosa rispetto all’emoglobina adulta, ma, in particolare nella talassemia, i pazienti trattati con l’editing genomico hanno raggiunto livelli elevati di questo tipo di emoglobina, paragonabili a chi non ha la talassemia, e questo potrebbe compensare lo svantaggio di cui sopra.
Si pensa che l’editing genomico sarà disponibile in Italia a inizio-metà 2025.
A oggi, nessun paziente con talassemia è morto per le complicanze dell’editing genomico. Tra i pazienti trattati con l’editing genomico per anemia falciforme una donna con multipli fattori di rischio è morta per le complicanze del COVID. I rischi associati a questa terapia sono descritti nelle risposte alle domande 5, 6 e 9. È da sottolineare che ogni paziente sottoposto a editing genomico, vista l’innovatività di questa terapia, è seguito per almeno 15 anni dopo la procedura per escludere altre complicanze, incluse quelle di natura tumorale.
Il busulfano può determinare infertilità e sebbene si mettono in atto tutta una serie di procedure perché ciò non accada, questa evenienza non si può escludere.
A oggi non conosciamo quali paletti metteranno le autorità regolatorie italiane (AIFA) in relazione alla prescrivibilità dell’editing genomico, per esempio non sappiamo se potremo trattare i pazienti nella fascia di età che è stata considerata per la sperimentazione clinica cioè 12-35 anni, se sarà indicato per chi ha la talassemia un numero minimo di trasfusioni nell’anno precedente la possibile procedura, e per l’anemia falciforme un numero minimo di crisi dolorose. Ciò detto, sarà il medico di riferimento insieme al medico trapiantologo a valutare il rapporto rischio-beneficio per ogni singolo caso, nell’interesse esclusivo di ogni paziente.
L’editing genomico può rendere la persona affetta da talassemia indipendente dalla necessità di trasfusioni regolari o quella con anemia falciforme libera dalle crisi vaso-occlusive dolorose. Questa terapia però non modifica le cellule riproduttrici e la probabilità di avere un figlio affetto se il/la partner è portatore di o affetto da emoglobinopatia. Inoltre l’editing genomico non modifica le complicanze già esistenti, per le quali sarà necessario effettuare visite e controlli periodici, che si aggiungeranno a quelli, previsti per almeno 15 anni dopo la procedura, per valutare la sicurezza e l’efficacia dell’editing genomico nel tempo.
È importante che dopo aver effettuato l’editing genomico sia eliminato il ferro in eccesso sino ad arrivare ad una situazione di normalità. Questo si può ottenere con periodiche rimozioni di piccole quantità di sangue dal circolo ematico (salassi) e/o proseguendo la terapia ferrochelante per il primo periodo dopo la procedura di editing.
Il farmaco chemioterapico, il busulfano, viene somministrato per 4 giorni consecutivi.
La durata del ricovero ospedaliero è variabile da paziente a paziente e dipende dal tempo che il paziente impiega per uscire dall’aplasia e a ricostituire il sistema immunitario che lo protegge dalle infezioni, e dallo sviluppo di eventuali complicanze. In genere i pazienti devono rimanere in ospedale per alcune settimane.

L’aspettativa di vita è aumentata progressivamente e la talassemia è oggi una patologia a prognosi aperta. Questa definizione indica che se il paziente è adeguatamente trasfuso, si sottopone costantemente alla terapia ferrochelante ed effettua regolarmente gli esami e le visite prescritte dai medici, la lunghezza della sua vita si avvicina sempre di più a quella di una persona che non ha la talassemia.
L'aspettativa di vita è aumentata molto rispetto al passato, con pazienti che vivono oltre i 60 anni se ben trattati sin dall'esordio della malattia.

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